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La piegatura si evolve: le procedure, le abitudini…e le scuse

 

L’azienda “Ferruccio Tagliaferri” Srl è una realtà molto conosciuta nel proprio territorio e che opera nel mercato della lavorazione della lamiera da oltre cinquant’anni.

Al suo interno lavorano una trentina di dipendenti e le lavorazioni conto terzi sono soprattutto svolte con l’impiego di materiali quali Aisi 304, S235, S355 e spessori che vanno dal 10/10 all’80/10.

Come avviene spesso, anche la “Ferruccio Tagliaferri” è nata dalla brillante intuizione del fondatore che, stanco di lavorare nei campi e profondo appassionato di meccanica, ha iniziato a proporre soluzioni per coloro che i campi non li avrebbero abbandonati: pezzi di ricambio per le macchine agricole, modifiche migliorative, strutture o, addirittura, sistemi completi.

 

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La Ferruccio Tagliaferri è la storia di una parabola dei tempi d’oro che narra di una marginalità in carpenteria molto più simile al farmaceutico e dove, tutto sommato, bastava darsi davvero da fare, avere costanza e la giusta intelligenza mista a “pelo sullo stomaco” per ottenere risultati lusinghieri.

I decenni sono passati inesorabili e il mercato, fuori dal capannone, è cambiato in maniera radicale anche se molti al suo interno non se ne sono pienamente resi conto. Infatti, adesso, grazie alla grande quantità di “fieno in cascina” stipato negli anni buoni, ci sono macchine moderne, operatori capaci e non c’è da dire che non ci si stia bene. Pure le pause caffè sono libere.

 

Eppure, qualcosa è rimasto della vecchia provenienza agricola e che mal si sposa con la filosofia tecnologica e industriale moderna. È il “mood”, il modo di fare e di pensare di una buona parte dei presenti. Ad onor del vero, la mentalità “bucolica” endemica non è assolutamente una cosa negativa in senso assoluto: è solo fuori posto.

Il contadino per tradizione deve maggiormente subire l’effetto degli eventi: se piove si sta a casa, se c’è bello ci si dà dentro finché si può e “speriam che la vaga ben” (speriamo che vada bene).

E se è andata bene può non avere grande senso immaginare un’altra via. Non c’è nemmeno il tempo per pensarla: il sole è alto nel cielo e c’è da tornar nei campi.

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Quando le inflessioni e le abitudini si insinuano nelle aziende, specie se gli esempi apicali sono sbagliati, è davvero difficile uscirne. In piegatura ci si accorge del mood campestre quando:

  • L’operatore fa con quel che ha in macchina. “30/10 di ferro? (Si badi bene, non certo “acciaio al carbonio”, l’acciaio alla Ferruccio è l’inox!) E che ci vuole? Ho su la V da 16, vorrai mica cambiarla?

L’obiezione potrebbe essere: “Sì, ma la volta scorsa hai usato la 25 e il pezzo era venuto in tolleranza. Che farai ora con i due millimetri che ti mancheranno dalle tre misure finite?”

La risposta: “E vabbè, l’ho già fatto. Questi sono pezzi che son sempre andati bene. E poi il millimetro in piegatura…”.

  • L’operatore piega l’impossibile non curandosi di distruggere gli utensili o di rovinare la macchina.
  • L’operatore fa di tutto per eludere i sistemi di sicurezza, anche se di nuova generazione, in quanto “una volta non c’erano e ho ancora nove dita: uno l’ho perso, ma fuori di qui.”

 

In questi casi l’approccio alla sicurezza è inspiegabile per chi non è del settore e, a dirla tutta, spesso parte dal basso.

Con la scusa che un vecchio dispositivo si era rivelato troppo invasivo e rendeva complesso il lavoro quotidiano, significa per sempre che la sicurezza è roba da stupidi inesperti e fifoni.

 

 

 

Non c’è miglioramento senza cultura, consapevolezza e formazione

 

Quando la piegatura è svolta con qualità significa che gli operatori lavorano in sicurezza sapendo ciò che provocano le proprie azioni. Ma non solo: che hanno passione per tutto ciò che è ben fatto. La stessa cosa riguarda l’intera filiera.

L’ufficio tecnico, ad esempio, è il cervello dell’azienda e il luogo da cui tutto parte a cascata verso la produzione. Infatti, cosa importantissima è che i flussi nascano con il piede giusto applicando le giuste procedure.

Spesso i disegnatori non hanno la minima idea di quali siano gli utensili che verranno adottati per piegare un pezzo ma, allo stesso tempo, si occupano degli sviluppi.

Necessariamente il corretto attrezzaggio va scelto in ufficio, perché è in base a quello che i “ritiri” avranno una grandezza rispetto all’altra.

 

Ma non finisce qui: è buona pratica che il disegnatore scriva sul disegno quale matrice va utilizzata per piegare l’articolo che ha sviluppato e il piegatore opererà di conseguenza, indipendentemente dall’esperienza e dal sentimento. Sarà l’unico modo per standardizzare i prodotti in uscita.

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È chiaro che questa procedura, per alcuni rivoluzionaria, ha bisogno di un lavoro di preparazione tutt’altro che banale:

  • Si parte dall’inventario di tutti gli utensili presenti di concerto con il reparto piegatura per assecondare le peculiari abitudini in essere.
  • Si prosegue con una formazione mirata affinché un disegnatore capisca qual è il momento esatto di utilizzare una matrice piuttosto che un’altra.
  • Si conclude la messa in opera della procedura scegliendo la campagna di rilevazione da campioni più adatta cercando di ridurre il più possibile le variabili che spesso sono inutilmente numerose.

 

 

 

Si, tutto bello, però…

 

La naturale attitudine a non cambiare risiede in tutti noi.

Tuttavia, alcuni individui la dimostrano con forme addirittura patologiche… Per questo, quando si tenta un cambiamento sulle procedure nella filiera esiste un corollario infinito di scuse nate esclusivamente per affossare ogni desiderio di miglioramento.

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Sì, però non tutti i clienti hanno bisogno ‘sta gran precisione.

Quando una nuova azione la si ripete per un certo numero di volte diventa abitudine.

Una buona abitudine, col tempo, la si applica per sempre e ovunque.

 

 

Sì, tanto quelli su in ufficio non ne hanno idea di come si piegano i pezzi.

È naturale e non è il loro mestiere. Però esiste la formazione che gli permette di individuare per lo meno gli utensili di adottare o meglio ancora: di porre le giuste domande al momento giusto alle persone giuste in produzione. Non serve cadere negli errori che fan gridare al piegatore esperto: “Vengono giù per chiedere le stupidaggini e quando dovrebbero chiedere mandano avanti il lavoro!”

 

 

Sì, ma a noi arrivano dei pezzi già sviluppati:

siamo terzisti ed è impossibile per come siamo strutturati ridisegnare tutto.

Certo, comprensibile. In quel caso, in realtà, è ancora più semplice.

Basta verificare qual è stato l’attrezzaggio che ha permesso la migliore esecuzione dei pezzi in questione. Si prende nota e li si dichiari sui disegni: eviteremo che l’operatore pigro utilizzi l’attrezzatura ogni volta diversa.

 

 

Sì, ma è un lavoro impossibile da noi: non c’è mai il tempo nemmeno di respirare!

Dico sempre che, quando si sale una scala ripida, bisogna guardare dove si mettono i piedi piuttosto che concentrarsi sulla mèta da raggiungere.

L’importante è iniziare a far qualcosa senza curarsi troppo della perfezione.

 

Come per ogni cambiamento virtuoso i motti migliori sono: “prima spara e poi mira”, oppure, riguardo ai risultati: “pochi, sporchi… ma subito!”

 

 

 

Conclusione

 

L’evoluzione di qualsivoglia azienda che oggi opera nel settore della lavorazione della lamiera passa necessariamente attraverso un cambio di mentalità che affianchi alla sua “tradizione lavorativa” una cultura tecnica moderna, basata su consapevolezza, formazione e soprattutto procedure condivise. Solamente in questo modo sarà possibile valorizzare appieno l’esperienza maturata in decenni di lavoro, trasformandola in uno standard produttivo solido, sicuro e ripetibile. Perché il futuro, anche in un settore apparentemente “semplice” come quello della carpenteria, appartiene a chi sa imparare, adattarsi e migliorare un passo alla volta ogni giorno.

 

Articolo pubblicato sulla rivista Lamiera edizioni Tecniche Nuove Marzo 2022.

 

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