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LA FIERA È MORTA? VIVA LA FIERA!

 

“Adesso che è finita la sfacchinata della fiera, comincia il vero lavoro!”

Me lo disse il mio collega e amico, uno molto più esperto di me in materia,

mentre cominciava già a radunare gli oggetti sparsi nei cartoni… e aveva ragione eccome!

 

È davvero incredibile che in uno stand tutto sommato piccolo ci si trovi a dover fronteggiare montagne di roba e materiale vario: biglietti da visita, depliant, tappi di prosecco finiti negli angoli più remoti chissà come, cavi, caramelle, spine, penne, luci… il tutto spolverato da una rada e lieve brina di patatine e salatini sbriciolati.

E pensare che ad ogni mattina il “bidone aspira-tutto” fa il suo lavoro, inghiottendo ogni cosa al suo passaggio!

Bene, si levano le tende e i fedelissimi, come già hanno montato lo stand, lo smontano.

 

A loro spetta il compito più fisico e noioso, oltre poi al viaggio di ritorno… magari in furgone: Hannover-Verona sono 1100 Km e se c’è una cosa che non provo verso di loro è senz’altro l’invidia. Ma gli sguardi della truppa sono felici sotto una coltre pesante di stanchezza. Si, perché la fiera sfianca in modo subdolo, a dispetto di tutte le dicerie di chi resta a casa. Questa non è vacanza: parti la mattina con il sangue effervescente, conscio del fatto che anche quella appena sorta sarà di certo una fantastica giornata ricca di occasioni. E poi… via! Sotto una “pioggia non pioggia” che non colpisce ma inzuppa, immersi in un’atmosfera grigia e periferica degna del maggiore Derrick.

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Ci tuffiamo nel tram contornati dalle facce pulite degli studenti che con i loro sorrisi fanno ricordare che l’adolescenza ha le stesse tinte accese come sempre, anche qui. Si smonta in stazione ad Hannover, sottoterra. Colazione con cappuccio ustionante da Starbucks (poi mi farò spiegare come diavolo fanno i miei compagni di avventura a finirlo in trenta secondi) accompagnato da un muffin che ingozza più del pane con il formaggio grana. Poi si riparte, direzione “Hannover Messe”, alias: il polo fieristico più grande d’Europa.

EuroBLECH, come suggerito dall’amico Daniele Marzaroli non è una fiera, è LA fiera:

esserci o non esserci può davvero fare la differenza.

 

Scarpinata (dall’ingresso espositori alla meta penso ci impiegassimo una dozzina di minuti!) fino al Halle 14, Stand L10.

Aspirata alla moquette, una sistemata alle sedie e ai vari depliant e già arrivano i primi visitatori. Noto con piacere che già dal secondo giorno il mio inglese migliora contro ogni pronostico perché di qui, si sa, passa il mondo intero: tedeschi, australiani, canadesi, americani, inglesi (come parlano veloce quelli), neo zelandesi, turchi, iraniani, indiani (molto più calmi), giapponesi, cinesi (col la loro classe nel “prendere libero spunto dalle idee altrui”…) in un turbinìo di scambi di biglietti da visita, strette di mano e di “allacci di rapporti” con potenziali partner commerciali.

In questo crocevia si rivedono e si conoscono di persona i contatti social: che cosa incredibile!

È tutto un abbracciarsi!

Persone di cui ho solo condiviso dei post insistentemente e in sintonia da molto tempo.

Poter finalmente parlare faccia a faccia con le foto cerchiate di LinkedIn sembra quasi magia!

Intanto scorre il tempo impetuoso e non ci si accorge di quanto la fiera ti sta mettendo alla prova.

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Sarà il Prosecco bevuto in piccolissime, ma numerose dosi (NB: la foto non mi rende giustizia!), il fatto di essere perennemente in movimento (il mio Fitbit al polso segna cifre mai raggiunte), ma alla sera ci si trascina verso l’agognata stanza da letto dell’albergo dove, manco a farlo apposta chi ti trovi? Altri amici (vedi personale Gasparini) con i quali non è possibile andare a letto senza prima aver fatto due chiacchiere e aver preso una birra sui divanetti della hall che ti avvolgono in un caldo abbraccio.

 

 

 

Tutto questo e molto altro è EuroBLECH: una fucina di opportunità e di occasioni per chiunque abbia qualcosa di interessante da proporre e per tutti coloro pronti a coglierle. Sorge in una città che si risolve in un incrocio e due stradoni contornato da palazzi, o almeno così sembra di notte, quando ormai è tardi e l’unica meta che cerchi è un ristorante dove potersi tuffare in una birra con carne a volontà!

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Arriva poi il giovedì e con esso la tanto attesa festa degli espositori.

Il mio amico David Blanco, esperto ingegnere di SSAB, che non possiede il biglietto di ingresso alla cena.

David è stato ospite di Accademia della Piegatura per un seminario sulla piegatura degli altoresistenziali ed è veramente un numero uno; basti pensare che, nato a Santander, domiciliato anche in Svezia, parla l’italiano meglio di me! Fa niente…

Il suo biglietto non c’è ma credo sia comunque il caso di tentare di eludere i controlli all’ingresso: la strategia messa in campo dall’inedita coalizione italo-spagnola è quella dello ‘gnorri, per questo avanziamo verso l’enorme inserviente-donna con due facce da fagiani impagliati, tipiche di chi non sa nulla e resta stupito al contempo.

David sotto sotto non ci spera affatto, io dico: “Tranquillo, dai…” ormai la signora si avvicina: “Alt!” Guarda il mio biglietto e le mani vuote di David, getta uno sguardo al collega in divisa: “Schnell!”

In quei casi subentra sempre accompagnato dall’entusiasmo un inutile patriottismo idiota, quasi ad aver vinto chissà cosa, tanto che alzo i pugni al cielo come per agitare un’inesistente coppa e non mi accorgo di gridare come uno stupido “Viva Santa Claus!” – e la signora scuote la testa…

Entriamo nel locale della festa. È come un enorme capannone addobbato talmente bene che pare di essere nel pieno dell’Oktoberfest: si potrebbe mangiare e bere all’infinito! Se il giorno seguente si potesse restare a letto… e se l’hotel non fosse così lontano…

Si mischiano di nuovo accenti e sorrisi e tutto ciò che rimane fisso nella memoria è l’immagine degli ospiti giapponesi che ciondolano come “petali di mandorlo in fiore” sui tavoli, sopraffatti dal jet-lag abbondantemente innaffiato dall’ Amarone del pomeriggio.

E poi altri incontri ancora, gente che non vedi da mesi, ma che anche se non lo sai ti segue… Persone fan-ta-sti-che!

Passano le settimane dal nostro rientro, e si inizia a tirare qualche somma: mai presi così tanti contatti in una sola edizione e siamo fiduciosi che il “tasso di conversione” sia più che buono, dal momento che quella che copriamo noi è una nicchia molto ristretta e che se uno ci veniva a trovare era perché era veramente interessato.

UNA RIFLESSIONE È DOVUTA

Si sente dire molto spesso che le fiere siano in decadenza.

Non so se ciò corrisponda a verità, ma c’è da dire che dipende sicuramente dal settore. Nella metalmeccanica uno dei comparti trainanti è senz’altro quello dell’automotive e proprio quest’ultimo ha visto negli ultimi lustri un certo disimpegno delle case a partecipare ad eventi fieristici: gli storici saloni. È morto quello di Torino, sebbene sia stato trasformato in una diversa e più “romantica” kermesse nel parco del Valentino. Quelli di Parigi e Francoforte si svolgono ormai ad anni alterni e molti costruttori anche di prim’ordine li disertano. Resta quello di Ginevra che, sorgendo in territorio “neutrale” sembra aver conservato un certo lustro. Per quello che è l’auto oggi, ossia un contenitore Hi-tec, più che un meraviglioso e appassionante oggetto meccanico, è più facile che i costruttori espongano alle grandi fiere informatiche ed elettroniche americane, al fianco dei colossi della Silicon Valley.

Sarà, ma per il nostro settore le fiere sembrano ancora estremamente importanti, magari affiancate ad eventi ed “open house” ma, in ogni caso, almeno per i più piccoli, da intraprendere con maggiore convinzione quando si è certi di avere delle novità interessanti da proporre.

Per chi tende all’immobilità il successo altrui appare sempre come una grande fortuna.

Ma è forse vero che la fortuna non esiste: esiste piuttosto il talento che incontra l’occasione!

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